Ritorno al futuro, recensione

Hill Valley, California 1985, Marty McFly (Michael J. Fox) studente di liceo ha una bella fidanzata, una band musicale con la quale nonostante passione ed impegno profusi proprio non riesce a sfondare, un padre privo di carattere succube quotidianamente delle angherie del suo arrogante capoufficio ed è spesso a casa dell’eccentrico amico Doc (Christopher Lloyd), sorta di geniale e un pò folle scienziato sempre intento a creare strambi macchinari.

Doc ha un sogno nel cassetto, riuscire a viaggiare nel tempo e tra un’invenzione folle e l’altra ci riesce modificando una Delorean, la vettura in questione dotata di tutti gli optional del caso funziona a plutonio e per il test finale Doc ne sottrae con l’inganno il quantitativo necessario ad alcuni terroristi libici.

Marty si troverà nel bel mezzo del test a bordo della Delorean proprio mentre assisterà all’uccisione del suo amico da parte dei terroristi e dopo un salto a ritroso nel tempo scoprirà di essere finito nella Hill Valley del 1955, dove incontrerà suo padre già all’epoca vessato dal suo capo versione bullo, la madre teenager con l’ormone in subbuglio e l’amico Doc versione anni ’50, l’unico in grado di riportarlo a casa giusto in tempo per salvargli la vita.

Proprio oggi il classico di Robert Zemeckis compie 25 anni, Ritorno al futuro è una di quelle pellicole già tecnicamente notevoli all’epoca dell’uscita in sala e che oggi,  nonostante l’avanzare della tecnologia con la CGI e il 3D di ultima generazione, senza contare il transito sugli schermi di vere pietre miliari per l’intrattenimento, vedi Matrix piuttosto che l’Avatar di Cameron, non perde un colpo e grazie al formato digitale acquista in vigore e coinvolgimento.

Il segreto di Ritorno al futuro, che ricordiamo prodotto all’epoca dal lanciatissimo Steven Spielberg, è la perfetta commistione di fantascienza e una certa nostalgica reminiscenza per i favolosi anni ’50 americani, nostalgia che ha fatto la fortuna di serial come Happy Days e trasformato in cult pellicole come l’American Graffiti di Lucas.

La fumettosa tecnologia messa in scena da Zemeckis con tanto di inventore folleggiante, la tematica del viaggio nel tempo da sempre fascinosa e l’aggiunta di corpose dosi di humour formato famiglia, danno l’idea di quella che negli anni ’80 era la perfetta concezione di film per tutti, etichetta negli anni ripetutamente distorta ed abusata e che con l’avvento degli anni ’90 cambierà radicalmente seguendo i gusti di un pubblico in continua evoluzione multimediale.

Naturalmente non possiamo dimenticare di citare il protagonista, Quel Michael J. Fox volto familiare dell’amatissima sit-com Casa Keaton, che dopo un paio di ruoli agli inizi degli anni’80 viene lanciato su grande schermo proprio con il film di Zemeckis che sfrutta il viso da eterno ragazzino dell’attore che all’epoca gli permise a ventiquattro anni suonati di interpretare il ruolo di un teenager.

Note di produzione: il film ebbe due sequel che omaggeranno prima il genere fantascientifico poi il western, il protagonista Michael J. Fox, a cui nel ’91 fu diagnosticata una grave forma di morbo di Parkinson, sempre nel 1985 girerà la comedy Voglia di vincere in cui torna studente di liceo stavolta in versione licantropo. Ritorno al futuro vincerà due oscar, miglior montaggio e sonoro e con un budget di 19 milioni di dollari ne incasserà nel mondo oltre 380.