Recensione: Il bambino con il pigiama a righe

Anni ’40 Bruno, otto anni, al ritorno da scuola trova la sua casa in fermento, sembra dal gran movimento e dall’agitazione della madre che stiano per trasferirsi, in Bruno nascono le prime paure, l’allontanarsi da luoghi familiari e dagli amici lo preoccupa molto, e le sue paure si fanno reali quando parte e si ritrova in campagna in una grande ed inquietante casa isolata, senza nessun vicino con cui giocare. Ben presto la noia si farà strada nelle lunghe giornate del bambino e la curiosità lo porterà ad esplorare i dintorni, compresa quella “fattoria” circondata dal filo spinato oltre il bosco.

Le sue continue domande sulla strana fattoria che vede dalla finestra, abitata da delle persone che indossano dei pigiami a righe innervosisce non poco la famiglia di Bruno, la sorella Gretel sembra comunque non interessarsi molto del fratellino, la madre racconta storie su fantomatici campi di lavoro raccontategli dal marito ufficiale nazista, ma la curiosità di Bruno è forte e lo porta a fare la conoscenza di uno degli internati, un bambino della sua stessa età Shmuel, instaurera’ con lui una tenera amicizia che sfocierà in terribili conseguenze e nella scoperta di una crudele e sconcertante verità.

Molte volte ci lanciamo in diatribe su contenuti e differenze tra cinema indipendente e cinema cosiddetto Mainstream, quello dai grandi incassi ma molte volte dai contenuti alquanto scarni, Il bambino con il pigiama righe è la dimostrazione che si può fare un film ad alto budget senza per forza doverlo infarcire di effetti speciali o battutacce da osteria. Questo film, tratto dal best seller di John Boyne, nasconde sotto una curatissima ricostruzione storica, una semplice e tenerissima storia di amicizia e crescita, di giochi e perdita dell’innocenza, il tutto sullo sfondo di un allucinante fatto storico che ha segnato indelebilmente le nostre coscienze, l’Olocausto.

Tutto il cast offre una pregevole interpretazione, i piccoli protagonisti hanno il tocco della recitazione naturale che oggi molti piccoli divi hanno perso in favore di una preparazione attoriale che a volte ci inquieta. La madre di Bruno interpretata dall’attrice Vera Farmiga è combattuta tra una verità che finge di non sapere e un marito che rappresenta la sua vita e quindi futuro e sicurezza, David Thewlis incarna alla perfezione la mostruosa maschera della normalizzazione delle atrocità commesse tipica del pensiero nazista.

L’Olocausto è di per sè tema insidioso, ma il regista Mark Herman ha il tocco giusto, tra romanzo di formazione, fiaba e docudrama miscela il tutto con l’aiuto del  direttore della fotografia Benoit Delhomme e ne esce un quadro dai colori vivaci che testimonia la visione della fanciullezza, uno sguardo pulito e colorato che si affaccia sul terribile mondo della guerra che fa della sopraffazione del prossimo un vanto, un mondo oscuro che presto travolgerà il nostro piccolo protagonista.

Un ultima annotazione per la bellissima e coinvolgente colonna sonora composta dal premio Oscar James Horner (A beautiful mind, Titanic), che tratteggia con sensibilità sia il caldo e rassicurante mondo di Bruno, sia quello freddo e senza futuro di Shmuel, su tutto il progetto la supervisione produttiva della Disney che ne fa un prodotto sicuro e fruibile da tutti, quindi consigliamo caldamente questo film come film di Natale alternativo, dove l’impegno e la bella scrittura indossano i panni dell’intrattenimento, lasciandoci dopo la visione una struggente ma bellissima sensazione di soddisfazione.