Paradiso Amaro: recensione in anteprima

Paradiso Amaro, titolo originale The Descendants, è la storia dell’avvocato Matt King -interpretato da George Clooney-, un hawaiano discendente della famiglia reale da cui ha ereditato, insieme ai suoi cugini, una spiaggia tropicale su una delle isole delle Hawaii e ha deciso, insieme al resto della famiglia, di vendere l’inestimabile proprietà; un evento tragico irrompe nella quotidianità di Matt: la moglie entra in coma a seguito di un incidente in barca, per praticare uno dei tanti sport estremi di cui la donna era appassionata, ma presto Matt scoprirà che di estremo c’era anche un rapporto passionale extraconiugale

Alexander Payne, dopo il film vincitore di un premio Oscar Sideways, torna alla regia dopo 7 anni con questa pellicola che di amaro ha il titolo e pochi tratti narrativi: l’ambientazione alle isole Hawaii garantisce l’ottima resa di immagini e fotografia, con scene suggestive e fotogrammi di una realtà che -nel pensiero di molti- incarna la visione del paradiso; da qui, il paradiso dovrebbe essere amaro perché la vita di una donna, moglie e madre, si stia spegnendo e il testamento biologico firmato dalla moglie di Matt si rivela essere una sorta di accanimento terapeutico verso il marito e le due figlie Scottie (Amara Miller), 10 anni, e Alexandra (Shailene Woodley), di 17 anni.

Quello che traspare è una sofferenza mischiata in modo perfetto a dell’umorismo semplice che dovrebbe far sentire lo spettatore vicino alla storia e avvertire empatia verso i personaggi; quello che accade, invece, è percepire un filtro attraverso cui non si avverte fino in fondo la vicenda come dovrebbe essere: è un po’ come guardare delle immagini registrate oggi in HD con l’effetto anticato dei vecchi nastri con le prime cineprese.

Spesso può capitare di andare al cinema e guardare un film che ricordi vagamente un altro, ma in questo caso non è possibile evitare lo scontro con una banalità congenita di una cinematografia del dejà vu.

Un esempio è nella struttura di Paradiso Perduto, che ricorda quella di Little Miss Sunshine (dove l’accettazione di una famiglia che un proprio membro venga a mancare porta a un cambiamento di assetto familiare), o in Matt (un padre che deve riconquistare la propria figura genitoriale) che ricorda il personaggio interpretato da Nicholas Cage in The Weather Man.

Inoltre, bisogna ammettere che c’è una scena in cui Clooney corre con i sandali e ricorda lo stesso modo di modo usato dal grande Tom Hanks in Forrest Gump.

Ad ogni modo, un incidente scatena una serie di reazioni, come onde che si propagano nell’0ceano, e a ogni nuova scena ci si chiede cosa potrà accadere, temendo che appaia sullo schermo quello che già si immaginava; tutto sembra rientrare, quindi, in una filosofia di vita spicciola velata da ovvia tristezza e ovvia gioia.

Accettato il compromesso, il film è valido e rientra in un gusto condivisibile da molti, ma bisognava fare delle precisazioni che a molti potrebbero sfuggire o -peggio- non piacere; si può aggiungere un ipotetico sottotitolo: Paradiso Amaro, Manuale di separazione da qualcuno che non credevi potesse farti così male nonostante il suo coma invalidante e irreversibile.

La domanda che ne deriva è: quando ci si lascia, si deve affrontare la rottura da una storia molto importante e a chiunque sfiora -anche solo per un attimo- l’idea che sarebbe meglio che l’ex partner passasse a miglior vita; ecco, cosa pensare laddove quest’eventualità acceda?

Partendo da questa riflessione, il film diventa interessante, piacevole, divertente e le angosce, la tristezza e la banalità, passano in secondo piano e quasi spariscono -peccato per il quasi-.

A volte è proprio quel quasi a fare la differenza tra un film d’autore e un interessante esperimento di industria cinematografia non da colossal.