L’emigrante, recensione

immagine-2Metà degli anni ’20, il giovane napoletano Peppino Cavallo (Adriano Celentano) ha la ferma intenzione di scoprire cosa sia successo al padre emigrato anni prima in America e letteralmente scomparso nel nulla, ma per il viaggio servono soldi e per questo il ragazzo lavora in un mattatoio uccidendo capi di bestiame a mani nude. Raccimolati finalmente i soldi necessari per il viaggio Peppino si vede rifiutare il visto per gli Stati Uniti per non aver svolto l’obbligatorio servizio di leva militare.

Peppino non demorde, travestitosi da donna riesce a salire su una nave, qui però rischia più volte di venir scoperto e solo grazie ad una bella cantante di nome Rosita (Claudia Mori), che lo crede una donna e lo assume come cameriera, Peppino riesce a mantenere la clandestinità, ma le bugie hanno le gambe corte, e scoperto l’inganno Rosita spaventata fa intervenire alcuni uomini del boss per cui lavora per dare una lezione all’impertinente travestito.

Peppino però ha una forza notevole e ha la meglio sugli energumeni, purtroppo però la scazzottata gli costa la prigione, prigione in cui conoscerà il logorroico anarchico toni (Lino Toffolo) e da cui uscirà proprio grazie a Rosita che non solo l’aiuterà, ma convincerà il boss Don Nicolone ad assumerlo  coma guardaspalle, ma la scoperta che il suo nuovo datore di lavoro è anche l’assassino del padre perduto complicherà non poco le cose

Troppa carne al fuoco per il regista Pasquale Festa Campanile, un racconto così ricco di colore e sfumature richiedeva una scenggiatura più solida e meno light, celentano gigioneggia al suo meglio, parla un napoletano tutto suo e corteggia una bella Claudia Mori che gioca a far la Loren senza far troppi danni.

Amore, vendetta e amicizia, certo il film ha una certa atmosfera e un’indubbia verve musicale, però resta forte la sensazione di un’intrigante messinscena non adeguatamente sfruttata.