La pecora nera, recensione in anteprima

Nicola (Ascanio Celestini) trentacinque anni di manicomio elettrico, un nonluogo dove la mente vaga e i pensieri corrono a ruota libera senza meta, una famiglia che lo ha praticamente dimenticato, l’istituzione che lo ha emarginato, compagne di viaggio in questo monologo della follia tra tenerezze, alter ego, amici picchiatelli e ricordi d’infanzia le suore che gestiscono l’istituto.

Nicola racconta uno spaccato della malattia mentale, dagli anni sessanta ad oggi tra realtà, fantasia e desiderio di una fuga da se stessi, con giornate scandite da visite al supermercato dove Marinella (Maya Sansa) amica d’infanzia riporta alla luce quell’amore di un attimo che comincia e finisce, ma lascia il cuore stracolmo e la mente spossata.

La pecora nera è l’epilogo di un lungo percorso che ha permesso al regista ed attore Ascanio Celestini di metabolizzare creativamente l’universo che ha vissuto attraverso interviste e testimonianze di pazienti che hanno transitato nei manicomi, interviste che sono diventate un monologo messo in scena sia in palcoscenico che tra le pagine di un libro, per culminare in un film presentato in concorso alla sessantasettesima Mostra del cinema di Venezia.

Celestini afferma che non esiste una differenza reale tra linguaggi, che si parli di teatro, romanzo o cinema, la malattia mentale trova la sua connotazione in ognuno di queste vesti, dando il medesimo messaggio solo con differenti sfumature, in realtà guardando il suo lavoro non si può prescindere dal notarne un impianto teatrale che torna prepontentemente anche su grande schermo, di grande impatto, profondo, ma inevitabilmente puntato ad una narrazione da palcoscenico.

Il regista punta ad una narrazione che nonostante i voli pindarici, le stralunate chiacchierate e i logorroici pensieri impossibili da arginare, ci mostra il cuore vivo del problema, quello di persone e personalità perdute e di una malattia istituzionalizzata e da nascondere, da seppellire tra pareti imbottite e camere di contenzione, fino all’avvento della legge Basaglia che riporterà gradualmente tutti alla realtà.

Celestini non sceglie certo una narrazione ammiccante o un semplicistico ritorno emotivo ed ha il coraggio di chiedere allo spettatore di sintonizzarsi con una mente provata, impaurita, dall’euforia incontenibile e dalla depressione incalzante, che ha vissuto per anni in un luogo tanto prigione quanto rifugio, un’opera prima di notevole originalità, sicuramente dalla forte impronta autorale, ma senza dubbio da non sottovalutare.

Data di uscita nelle sale 1° ottobre 2010

Note di produzione: il film è stato girato a Roma all’interno dell’ex-manicomio Santa Maria della Pietà.