La misura del confine, recensione

Due team di topografi, uno svizzero l’altro italiano sono chiamati a stabilire l’appartenenza di una mummia rinvenuta tra i ghiacci del Monte Rosa, dopo qualche difficoltà le due squadre capeggiate da un professore svizzero ed uno siciliano si ritrovano, corpo al seguito in un rifugio montano gestito da una giovane coppia.

Dopo aver stabilito che il corpo ritrovato è italiano si comincia a cercare di stabilirne la datazione e purtroppo per il sindaco del locale comune di Carcollo che sperava in una mummia di almeno 5.000 anni capace di dare una spinta al turismo, si scoprirà invece che il corpo non solo è molto più recente, ma che nasconde anche il segreto di un delitto irrisolto.

Il regista Andrea Papini dopo il lungometraggio d’esordio La velocità della luce si cimenta con un altro film dal taglio indipendente che vive di numerosi momenti di grazia a dimostrazione che se si è in grado di sfruttare un budget all’insegna delle ristrettezze e si ha uno script capace di sfruttare ciò che Madre Natura regala in suggestioni, si può puntare in alto e in questo perticolare caso verso vette artistiche che miscelano con eleganza e dovizia tradizione e folklore montani, un pizzico di mistery, qualche puntatina nello scientifico e un utilizzo magistrale di una colonna sonora quasi ipnotica nel suo snocciolare partiture e sonorità di pregevole fattura che amplificano in positivo il gradevole straniamento regalato da una messinscena raccolta, ma mai parca di piccoli e dettagliati contrappunti emotivi.

La misura di confine fruisce di una fortunata alchimia che sopperisce alle limitazioni di tempo e budget imposti a chi il cinema lo fa per passione vera, il cast è genuino e credibile proprio perchè non cerca personaggi, ma tratteggia persone, tutto il cast, regista compreso lavora in simbiosi con i ritmi della montagna a cui da spettatori si riesce, senza la benchè minima fatica ad adattarsi, in questo caso è l’ambientazione a cadenzare i ritmi di ripresa, montaggio e recitazione, tutto è in sincrono con ciò che Papini ci vuole narrare e con ciò che la montagna mette in mostra, senza edulcorarne un solo minuto con inutili divagazioni fini a se stesse.

Senza dubbio ne La misura del confine si percepisce un bisogno di approfondire e di sviscerare alcuni elementi caratteriali di personaggi e personalità che solo per una cronica mancanza di tempi produttivi finiscono per restare solo accennati, ricorrendo così ad una necessaria e fisiologica narrazione all’insegna del corale, ma questo insieme alle troppe difficoltà oggi di produrre un film indipendente di questo tenore non intaccano il valore artistico intrinseco di una pellicola capace con poco di regalare in suggestioni davvero molto.

Note di produzione: il film è stato girato in due settimane ad un’altitudine di tremila metri, nel cast Peppino Mazzotta volto noto della serie Il commissario Montalbano che aveva già lavorato con Papini nel suo lungometraggio d’esordio La velocità della luce.