Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo, recensione

L’incipit ambientato nel 1957 ci porta nel bel mezzo del deserto del Nevada con una squadra di militari russi,  capeggiati da Irina Spalko (Cate Blanchett) e dal Colonnello Dovchenko (Igor Jijikine), che assalta nientemeno che la famigerata e segretissima Area 51. In compagnia della Spalko ci sono Indiana Jones (Harrison Ford) e l’amico George “Mac” McHale (Ray Winstone) che catturati dai sovietici, scopriranno che questi ultimi sono interessati ad una particolare cassa che contiene dei resti alieni. Naturalmente il professor Jones riuscirà a darsela a gambe e sopravvissuto al tradimento dell’amico Mac, ad un’esplosione nucleare e ad un terzo grado da parte dell’FBI, sospettato di lavorare per i comunisti finirà per perdere il suo lavoro all’università, ritrovandosi in Perù a dar la caccia ad un leggendario manufatto, che lo porterà non solo a scoprire i resti di una antica civiltà aliena, ma anche di avere un figlio di cui ignorava l’esistenza.

Come accaduto con la saga di Star Wars ecco un’altra storica trilogia, figliata dalla factory hollywoodiana tornare su grande schermo con un quarto capitolo diretto da Steven Spielberg e prodotto da George Lucas, film che arriva a ben diciannove anni dal memorabile Indiana Jones e l’ultima crociata.

Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo pur divertendo e non mancando di elementi tipici della saga come azione, humour e godibili tocchi dark, soffre non poco del massiccio utilizzo di effetti in CGI che trasformano la pellicola in un rutilante giocattolone hi-tech dalle improbabili reminscenze fantascientifiche, in questo caso Spielberg e la sua nota osessione cinefila per gli alieni creano più di qualche danno.

Intendiamoci l’operazione nostalgia alla fine da i suoi frutti, il ritorno di volti noti della serie, l’inserimento di un potenziale erede dell’archeologo più famoso ed amato del grande schermo funziona, grazie anche al talentuoso Shia LaBeouf, ma alcune sequenze, su tutte quella davvero ridicola del sito nucleare, ma anche il fracassone finale alla Incontri ravvicinati del terzo tipo lascia il segno, risultano davvero troppo stridenti per chi ha vissuto e metabolizzato appieno l’immaginario avventuroso della trilogia originale.

Nel film di Spielberg c’è una pericolosa aria da videogame che rende l’operazione simile a quella intrapresa da Lucas per i controversi prequel di Star Wars, anche se come ribadito di certo non ci si annoia, alla fine della visione si ha la netta sensazione che il personaggio di Ford sia fuori tempo massimo rispetto ai canoni estetici del cinema odierno, quindi piuttosto inadatto a transitare in quello che si rivela un strano ibrido hi-tech che ha l’intento, ma non la piena capacità di accontentare un po’ tutti, vecchi appassionati e fan dell’ultima ora.

Note di produzione: le musiche del film sono state affidate al veterano John Williams autore delle musiche della trilogia originale. Nell’ottobre del 2007 dall’ufficio di Spielberg venne trafugato un computer contenente oltre 4000 foto realizzate sul set del film, il colpevole del furto venne arrestato prima che riuscisse a venderle. Gli incassi del film superarono worldwide i 786 milioni di dollari a fronte di un budget investito di 185.