Hostel 3, recensione in anteprima

Quattro amici si dirigono in quel di Las Vegas per darsi alla pazza gioia in un weekend in cui uno di loro festeggerà l’addio al celibato salutando la sua vita da single e gli altri troveranno la scusa per godersi alcol a fiumi, gioco d’azzardo legalizzato e donne molto disponibili. Sin qui tutto ok, se non fosse che in cerca di un po’ di divertimento extra i quattro non si lasceranno convincere da due escort ad allontanarsi dal centro di Las Vegas per dirigersi verso la periferia, in un quartiere isolato dove l’efferata festa  a base di tortura e scommesse che li vedrà ospiti d’onore è di quelle da cui non si fa più ritorno.

Terzo capitolo per la truce e truculenta saga di Hostel lanciata nel 2005 da Eli Roth alla sua seconda prova dietro la macchina da presa, film per il quale venne coniato il neologismo torture-porn che intendeva descrivere non solo un filone, ma il meccanismo voyeuristico che si innesca nello spettatore di fronte a torture e violenze gratuite, che spesso e volentieri vengono accompagnate da un plot che è una mera scusa per sfoggiare un repertorio a base di bassa macelleria in celluloide.

Il primo Hostel pur se eccessivamente compiaciuto aveva un suo perchè, l’ambientazione europea, il nichilismo estremo e la spietatezza dimostrati verso agnelli sacrificali destinati ad un mattatoio umano, allestito per ricchi annoiati in cerca del brivido proibito, personaggi truci, accessori da incubo sadomaso e fetidi grembiuli ricoperti di qualunque cosa rendevano l’opera seconda di Roth disturbante di per se, torture ed effettacci a prescindere, ma già nel sequel Hostel 2 si percepiva la limitatezza di un filone che appena nato era già era pronto a tramontare, dopo aver ispirato qua e la qualche mediocre imitazione e che con questo questo terzo capitolo, concepito per un’oculata uscita direct-to-video, dimostra quanto ben poco sia rimasto da raccontare.

Con Hostel 3 il regista Scott Spiegel trasloca l’incubo in una moderna e scintillante Las Vegas, le torture diventano hi-tech e gli spettatori indossano smoking e fumano costosi sigari su poltrone di pelle, niente più celle luride e pareti incrostate, carrelli colmi di resti umani e mostruosi boia mascherati, qui tutto è asettico, coreografato e ben poco coinvolgente per quanto nel finale si cerchi di premere l’acceleratore in maniera alquanto goffa sull’efferato, dopo un’ora in cui si trovano ben poche motivazioni per proseguire nella visione.

Con Hostel 3 si è raschiato il fondo e nel cercare un nuovo riavvio di saga, che va tanto di moda ad Hollywood, si è finito per confezionare un sequel noioso e ben poco truculento, l’esatto contrario di quanto si è visto di recente con il franchise a base di cannibali deformi Wrong Turn, che con il prequel Wrong turn 4 ha invece regalato divertimento e splatter a profusione, dimostrando che con un po’ di fantasia ed entusiamo si può confezionare un direct-to-video più che dignitoso.

Note di produzione: nel cast oltre al veterano Thomas Kretschmann nuovo Dracula per Dario Argento e Kip Pardue pupillo di Stallone in Driven, un parterre di volti noti del piccolo schermo tra questi John Hensley già visto in Nip/Tuck nei panni del tormentato Matt McNamara e Brian Hallisay, per lui apparizioni in CSI: New York, Medium e Privileged. Il regista Scott Spiegel ha sceneggiato il cult Evil Dead 2 e diretto Dal tramonto all’alba 2: Texas, sangue e denaro.