Hereafter, recensione

Marie (Cécile de France) è una giornalista francese che si trova per lavoro in Thailandia proprio durante il devastante tsunami del 2004, durante il terribile cataclisma la donna sperimenta uno stato di pre-morte da cui viene strappata dai soccoritori che le salvano in estremis la vita. Tornata a Parigi però Marie non è più la stessa, quell’esperienza l’ha segnata in maniera indelebile cambiandone profondamente il rapporto con il quotidiano e la vita stessa, spinta da chi gli è più vicino ad affrontare l’accaduto attraverso la pagina scritta Marie deciderà di scrivere un libro per condividere, ma soprattutto per raccontare a se stessa le emozioni provate.

Marcus (Frankie McLaren) è un ragazzino londinese che ha subito un traumatico distacco dal suo fratello gemello investito e ucciso da un furgone, tolto alla madre tossicodipendente dai servizi sociali e affidato ad una famiglia adottiva Marcus vivrà la morte del fratellino come un’incolmabile vuoto che ho ha irrimediabilmente spaccato a metà, lasciando in lui una sensazione di incompletezza che sembra non abbandonarlo mai.

George (Matt Damon) è un ex-sensitivo che si ritrova suo malgrado, dopo aver abbandonato la pratica, a fare una lettura su richiesta del fratello, George aveva raggiunto a suo tempo una certa notorietà per la sua attendibilità, ma vivendo egli stesso il suo dono come una vera e propria condanna, aveva mollato tutto lasciandosi alle spalle quell’incombente mondo parallelo fatto di voci ed ombre che sentiva invaderne lentamente il vissuto.

George, Marie e Marcus incroceranno le loro esistenze ognuno in cerca di risposte, chi cercando una via di fuga al dolore della perdita, chi alla paura della morte chi a domande che sono destinate a restar tali.

Tappa quasi obbligata per l’attore e regista ottantenne Clint Eastwood, dopo aver toccato l’argomento morte con lo struggente Million Dollar Baby, in cui si esplorava la sofferenza di una vita forse non vita e i lancinanti dubbi dell’eutanasia, ecco sconfinare il regista per la prima volta oltre il labile confine tra scienza e spiritualità, alla ricerca di risposte che come spesso capita finiscono per trasformarsi in domande, raccontando la paura che l’aldilà rappresenti solo la fine di un naturale e fisiologico ciclo biologico e con la flebile speranza che quella che definiamo morte non rappresenti realmente la fine, ma solo il principio.

E’ indubbio che Eastwood ha raggiunto una maturità artistica che gli permette di affrontare argomenti così complessi e tortuosi senza aver paura della retorica e con una poetica che va oltre il grande schermo nel senso lato del termine, in realtà sembra che il regista voglia condividere i propri dubbi e le tante perplessità con lo spettatore pur rischiando di non trovare dall’altra parte la giusta connessione che inneschi il medesimo dubbio che sovrasta il percorso dei suoi tre protagonisti.

Sequenze come quella dello tsunami e la performance di Matt Damon toccano corde profonde, trasmettono emozioni forti e questo è già un risultato, forse questo non sarà il miglior Eastwood in assoluto, ma senza dubbio Hereafter regala non poche emozioni e soprattutto invita alla riflessione su una tematica spinosa che fa parte di quelle grandi domande universali a cui, per quanto ci sforziamo difficilmente riusciremo a dare una risposta.