Dylan Dog-Il film, recensione

L’ex-indagatore dell’incubo Dylan Dog (Brandon Routh) ritiratosi in quel di New Orleans si ritrova di nuovo a cimentarsi con eventi sovrannaturali quando la bella Elizabeth Ryan (Anita Briem) lo incarica di far luce sull’omicidio del padre.

Tormentato e per nulla intezionato a ritrovarsi in faide tra mostri ed esseri infernali Dylan Dog sarà costretto suo malgrado ad accettare l’incarico quando lo stesso killer che ha ucciso il padre di Elizabeth uccide il suo assistente e miglior amico Marcus (Sam Huntington) che si trasforma in uno zombie.

L’indagatore dell’incubo di nuovo al lavoro scoprirà che ci sono due clan, uno di vampiri e uno di licantropi dietro agli omicidi e che entrambi sono sulle tracce di una potente reliquia in grado di evocare un potente demone capace di scatenare l’inferno in terra.

Oltre dieci anni, tanto c’è voluto per partorire la sceneggiatura che vede il debutto dell’indagatore dell’incubo su grande schermo e a ben guardare del personaggio creato da Tiziano Sclavi e amatissimo da un esercito di appassionati lettori di fumetti c’è rimasto ben poco, anche se bisogna ammettere che chiunque si sia approcciato alla visione di questo film di certo non si aspettava altro, se non un vero e proprio stravolgimento dell’opera originale prospettata già dalle informazioni filtrate in questi ultimi mesi.

Il bestiiario sovrannaturale di rito è servito in questo adattamento che definire libero è un eufemismo, il make-up funziona a corrente alternata e tutto a partire dal protagonista ha qualcosa di posticcio, una sorta di ipervitaminizzata parodia a stelle e strisce dell’originale, in quest l’ex-Superman Brandon Routh con sguardo languido, fisico palestrato e mascella squadrata non aiuta di certo chi cerca le familiari fattezze del dinoccolato e malinconico Rupert Everett che per fortuna abbiamo almeno potuto vedere materializzato nel surreale Dellamorte Dellamore di Michele Soavi.

Il Dylan Dog a stelle e strisce spara come un cowboy e ha una straniante deriva da suopereroe che cozza con il tormentato anti-eroe tratteggiato da Sclavi aggirandosi in un copione che miscela troppi classici senza aggiungere o togliere nulla, trasformando il film in lungo e tedioso déjà vu con citazioni da Blade ed Underworld e l’aggiunta di un goffo tentativo di miscelare horror, action e comedy come fece a suo tempo John Carpenter con il suo strepitoso Grosso guaio a Chinatown.

Il regista Kevin Munroe alla sua seconda prova su grande schermo e  al suo primo lungometraggio live-action, suo il lungometraggio in CGI dedicato alle Tartarughe Ninja TMNT, sfodera una regia scolastica senza guizzi o trovate che possano regalare un minimo di empatia con ciò che accade su schermo, tranne forse gli scambi tra Routh e Huntington e l’aggiungere una sfilza di citazioni del fumetto originale tra cui il nome di Sclavi affibbiato ad uno dei personaggi non fa altro che amplificare il disagio per chi ha fagocitato tavole e tavole del fumetto originale.

Insomma in conclusione si nota davvero troppa nochalance e zero rispetto da parte del team di creativi e produttori americani verso uno dei personaggi più amati ed intriganti di sempre e per chi ha fatto di Dylan Dog il proprio immaginario di culto e se proprio facendo uno sforzo vogliamo evitare il confronto diretto con l’originale, il film di Munroe resta un insipido ed edulcorato horror indirizzato ad un pubblico di adolescenti senza purtroppo un minimo sindacale di personalità.

Note di produzione: nel cast Peter Stormare già Lucifero nel cinefumetto Constantine e Anita Briem comparsa nell’avventuroso Viaggio al centro della Terra 3D, tra le numerose stesure del film c’è n’era una che prevedeva la realizzazione di un lungometraggio in CGI.