Codice Genesi, recensione

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In un cupo e desolato futuro post-Apocalisse, dopo una guerra senza vincitori si aggira il misterioso Eli (Denzel Washington), il suo è un cammino che dura da molti anni e la sua meta misteriosa, con se un campionario di armi che lo aiutano a sopravvivere, e nello zaino una scorta d’acqua, qualche oggetto da barattare e un libro che potrebbe cambiare le sorti dell’umanità.

Eli non conosce con precisione la sua meta, sa però qual’è la direzione e continua imperterrito il suo cammino attraversando la desolazione di un territorio ormai devastato dalla siccità, e popolato da uomini che vivono con l’istinto di affamati predatori che non disdegnano un buon pasto a base di inermi viandanti.

Eli durate il suo cammino incontrerà qualcuno che conosce l’importanza dell’oggetto che lui protegge con tanta solerzia, l’ambizioso Carnegie (Gary Oldman) sa che l’acqua e qualcosa in cui credere, rappresenteranno il nuovo potere su di un’umanità soggiogata dal caos e in cerca di una speranza su cui riscostruire il proprio futuro.

Carnagie farà di tutto per avere Eli dalla sua parte  cercherà prima di lusingarlo con le comodità della sua cittadina, poi scoperto il libro e vista l’integrità  dell’uomo, passerà alla maniere forti, ma Eli conosce il suo destino ed è pronto all’estremo sacrificio pur di completare la sua missione, portare il libro a destinazione.

I fratelli Hughes cresciuti a pane e videoclip musicali, dopo aver sfornato l’intrigante e sottovalutato From Hell-La vera storia di Jack lo squartatore, proseguono il loro percorso inprontato  all’estetica da cinefumetto approcciando stavolta l’inflazionato genere post-apocalittico, e contaminandolo in corso d’opera, con il western, l’action e suggestioni mistico-religiose.

Il film presenta un look suggestivo, con notevoli sequenze di grande impatto visivo, gli scontri all’arma bianca che costellano la pellicola sono efficaci e btutali quanto basta, Denzel Washington e cupo e solitario al punto giusto, il villain anche privo di guizzi è senza dubbio di lusso, e la cornice mistica intrigante, almeno per un pò.

Il vero problema nasce dopo la prima mezz’ora di visione quando ci si accorge di un eccesso di zelo degli Hughes nelle scelte cromatiche riguardo la fotografia, che se avrebbero senza alcun dubbio funzionato a dovere in un videoclip musicale o in un corto di pochi minuti, puntando ad un immersivo e cupo look da cinefumetto di ultima generazione, vedi 300 o Sin City, vanno oltre e a furia di sottrarre in luminosità arrivano a sfumature monocromatiche estreme,  che a lungo andare si rivelano un’arma a doppio taglio.

Purtroppo non è solo il look del film a lasciar perplessi, scelta stilistica che anche se poco funzionale e pratica va comunque rispettata, ma è lo script che rubacchiando a destra e a manca dal genere, su tutti la trilogia di Mad Max, il filone post-apocalittico è in realtà citato in toto, preoccupandosi di non svelare troppo, di evitare accuratamente di tradirsi, e arrivare integro ad un finale che è forse la parte migliore dell’intera operazione, si dimentica di dar corpo a tutto il resto.

Capiamo l’importanza della meta e non del viaggio, ma al cinema è il percorso/racconto che fa la pellicola non certamente un finale che per quanto soprendente, e a suo modo intrigante non può sostituire un bisogno oggettivo di empatia tra spettatore e protagonista, c’è qualcosa che manca inesorabilmente al personaggio di Washington, un duro e puro dalle emozioni troppo criptiche e poco incline a condivederle non solo con i co-protagonisti del film, ma anche con chi è seduto di fronte allo schermo, in cerca della scintilla per stare dalla parte dell’eroe di turno.

Comprendiamo che la fede è il fulcro della narrazione, che bisognerebbe intuire o perlomeno percepire quello che Eli porta con sè, supporto cartaceo a prescindere, ma lo spettatore ha bisogno di vedere e soprattutto di sentire la storia, e qui di coinvolgimento c’è ne davvero poco. Un vero peccato perchè le premesse per un buon film c’erano davvero tutte, quindi non resta che voltare pagina e riporre le nostre speranze su The Road di John Hillcoat, naturalmente distributori permettendo.