Bunraku, recensione in anteprima

In un mondo in cu le armi da fuoco sono state bandite all’indomani di una devastante guerra globale, i sopravvissuti hanno comunque trovato il modo di uccidersi a vicenda rispolverando le armi da taglio e il vecchio, ma sempre efficace corpo a corpo. E’ in questo scenario in cui si consumano soprusi e violenze che Nicola (Ron Perlman), noto come Il Taglialegna regna incontrastato, diventando in pochi anni l’uomo più potente e temuto ad est dell’Atlantico, un oscuro e spietato boss del crimine che governa con il pugno di ferro e l’ausilio di nove assassini professionisti tra cui il suo braccio destro, il Killer numero 2 (Kevin McKidd). La città su cui governa Nicola è attanagliata dal terrore e i suoi abitanti subiscono soprusi quotidiani dagli uomini del boss che taglieggiano commercianti e intimidicono privati cittadini.

La situazione divenuta ormai insostenibile sta però per cambiare, perchè in città giungeranno un misterioso straniero senza nome dal pugno letale e in cerca di vendetta (Josh Hartnett) e il giovane samurai Yoshi (GACKT) maestro di Katana e arti marziali, anch’egli in città con una missione, recuperare un monile di famiglia. I due dopo qualche diffidenza iniziale uniranno le forze contro Nicola, supportati dal Barista (Woody Harrelson) gestore del locale saloon e anche quest’ultimo, come praticamente chiunque in città, con un conto da saldare con il boss e i suoi sgherri.

Sulla scia di Sin City e del recente The Warrior’s Way, il regista Guy Moshe per la sua seconda prova su grande schermo, dopo il drammatico Holly del 2006, si cimenta con una pellicola che miscela il linguaggio dei fumetti con look e scenografie iper-stilizzate e teatrali, personaggi da spaghetti-western e samurai-movies, allestendo il tutto all’interno di una fantasiosa confezione che evolve visivamente come un surreale mash-up che miscela un complesso Origami, un colorato libro Pop-up, di quelli che aprendosi svelano tridimensionali mondi all’insegna del fantastico e  naturalmente il teatro tradizionale giapponese con burattini, che Moshe omaggia e cita apertamente già nel titolo come primaria fonte d’ispirazione visiva.

Bunraku oltre al notevole cast che già di per sè nobilita la coraggiosa operazione, pur ispirandosi al citato Sin City non raggiunge di certo le vette del capolavoro di Frank Miller, però possiede in sè alcuni elementi che lo pongono allo stesso livello del recente ed ottimo The Warrior’s Way del coreano Sngmoo Lee, con in questo caso un elemento aggiuntivo che è quello del genere noir che spesso fa capolino, citato visivamente e nella caratterizzazione di alcuni personaggi.

Bunraku è senza dubbio un’operazione che andrebbe premiata per la sua originalità e per alcuni tocchi di classe notevoli, vedi la scena di combattimento iniziale con una coreografia congegnata a mò di balletto, piuttosto che il continuo sovrapporsi di scenografie volutamente e squisitamente posticce, che si affastellano ed incastrano ad arte in un susseguirsi di preziosi paesaggi e location virtuali che a tratti ricordano lo sfortunato The Spirit di Frank Miller.

Note di produzione: nel cast figura anche l’attrice Demi Moore. Il co-protagonista del film, il giapponese Gackt Camui, in patria è anche un noto cantante e virtuoso polistrumentista specializzato in strumenti musicali tradizionali.