Born to Raise Hell, recensione

All’indomani degli eventi dell’11 settembre il governo degli Stati Uniti resosi conto che il traffico di stupefacenti rappresentava una fonte di finanziamento per la maggior parte delle cellule terroristiche crea l’International Drug Task Force (IDTF). Le task force IDTF, che fruiscono di finanziamenti ed operano sotto la supervisione del governo degli Stati Uniti, hanno agenti operativi in tutta l’Asia e nell’Europa dell’Est. Bobby Samuels (Steven Seagal), che è a capo di un team IDTF che opera a Bucarest in Romania, ha perso di recente il suo partner, ucciso nel bel mezzo di una guerra tra bande. Ora Bobby, costi quel che costi, è intenzionato più che mai a vendicare il suo partner e a fermare un traffico illegale che include droga e donne.

Altra produzione direct-to-video per Steven Seagal che di recente ha anche scritto e prodotto la discreta serie tv True Justice. In Born to Raise Hell il protagonista è un poliziotto invece che il consueto ex-agente della CIA. La sceneggiatura, scritta dallo stesso Seagal segue l’iter del revenge-movie con digressione poliziesca, girato in location europee con lo scopo di abbassare i costi di produzione e poter sfruttare al massimo il budget a disposizione di 10 milioni di dollari, al quale ha contribuito lo stesso Seagal che è anche co-produttore del film.

Alla regia troviamo lo stuntman professionista Lauro Chantrand che ha diretto uno degli episodi della già citata serie tv True Justice ed ha diretto la seconda unità nell’imminente Maximum Conviction che vedrà protagonisti Seagal e il wrestler Steve Austin.

Come di consueto questo tipo di operazioni sono concepite ad hoc per accontentare lo zoccolo duro di fan ormai fedelissimi di mr. Seagal, capaci di apprezzarne anche queste incursioni ormai di routine nell’home-video che fruiscono di una regia di marcata impronta televisiva. Insomma consigliato solo a chi cerca un action senza pretese da noleggiare e consumare piuttosto in fretta.