Barbarossa, recensione

la-locandina-di-barbarossa-130288 []Dopo un incipit in cui  un giovanissimo Alberto da Giussano (Raz Degan) salva da un cinghiale inferocito L’imperatore Federico I (Rutger Hauer) detto Il Barbarossa, si passa alla conquista dell’Italia e al sogno dell’Impero universale da parte di quest’ultimo, e  allo sbocciare dell’amore  tra Alberto e una giovane donna da molti considerata una strega, la bella e selvaggia Eleonora (Kasia Smutniak), sopravvissuta ad un fulmine che la colpì ancora bambina.

Dopo che Milano si rifiuta di sottostare all’oppressore teutonico, ci sarà un lungo assedio seguito dalla presa della città da parte dell’immenso esercito di Barbarossa, la morte di molti milanesi, l’esilio della popolazione sopravvissuta e la distruzione della città, rea di aver contrastato le brame di conquista dell’ambizioso monarca.

Mentre Barbarossa si appresta a conquistare anche il resto dell’Italia, ma viene fermato a Roma da un’epidemia di peste, al nord Alberto riunisce un manipolo di ribelli che man mano diventerà un esercito, sino a riunire molte città del nord-Italia in cerca d’indipedenza, indipendenza che cercheranno di conquistarsi in un’ultima epocale battaglia.

Come al solito in Italia si fa più politica che cinema, e come al solito da entrambe le parti ci si dimentica del film per la troppa voglia di sventolar bandiere, gridare al regime o mostrare con orgoglio tessere di partito.

Così la pellicola passa in secondo piano come i lati positivi di un’operazione che comunque varcherà i confini nazionali, e non importa a nessuno se il cinema diventa ostaggio di spettatori e addetti ai lavori per dire al mondo per quale parte politica si parteggi.

E visto che a noi interessa il cinema, e non se Martinelli abbia ingenuamente politicizzato il film e mostrato il fianco con cerimonia in pompa magna con Lega e Premier provocando lo sdegno di molti, o se molti hanno massacrato il film a prescindere tanto chi se ne frega se l’autolesionismo è lo sport preferito del Belpaese, vediamo se si riesce a giudicare il film per quello che è, un film.

Così mi appresto a vedere, non senza un pò d’ansia, questa mostruosità figlia del regime e mi ritrovo davanti ad un’innocuo fumettone in costume infarcito di ingenuità, con difetti tipici di molte produzioni europee che non sono in grado di maneggiare cinematograficamente la storia, non riuscendo ad equilibrare con la giusta dovizia intrattenimento, cultura e nozionismo.

Il film dimostra ancora una volta l’abilità di Martinelli con la macchina da presa, il regista da sfoggio di una gran tecnica e riesce con una notevole messinscena a tenere desto il pubblico per quasi tre ore, insomma una bell’impresa considerando che la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti e rubacchia a destra e a manca dal cinema epico/storico di sempre, Braveheart, Giovanna d’Arco, persino Il signore degli anelli, insomma in ogni inquadratura si ha una strana e a volte irritante sensazione di deja-vu.

Però se la parte visiva alla fine funziona, c’è purtroppo anche il maneggiare in maniera imbarazzante il lato mistico/sovrannaturale della storia, come già era successo ne L’ultima legione, altro kolossal europeo con il druido Ben Kingsley. Qui ci sono visioni e presunta stregoneria che una recitazione sopra le righe, e una semplificazione quasi infantile dei personaggi rendono forzate e sopra le righe (vedi la scena della scoperta della grotta).

Detto ciò nonostante i pregi e vista l’ingenuità e la sin troppo fantasiosa attendibilità storica, Barbarossa rimane l’ennesima occasione persa, la cui ideale collocazione, nonostante lo sforzo, l’intrigante confezione e il notevole dispiego di mezzi, resta il formato televisivo, cornice sicuramente più idonea ad un’operazione del genere.