Bangkok Dangerous-Il codice dell’assassino, recensione

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In una Bangkok cupa e malfamata il killer prezzolato in trasferta Joe ( Nicolas cage) è in attesa del suo prossimo incarico, nel frattempo applica delle regole ferree che ne fanno un fantasma per chiunque, nessun contatto diretto, neanche con la propria clientela che interagisce con lui tramite una sorta di fattorino che a lavoro finito, Joe elimina simulandone la morte accidentale.

Una vita senza alcuna relazione emotiva che ben presto verrà travolta da due figure molto diverse, ma speculari che entrando nella vita di Joe lo accompagneranno verso la consapevolezza di un bisogno impellente di contatto umano, che per quanto Joe tenti di sopprimere verrà inesorabilmente a galla.

Cosi Kong, l’ultimo fattorino che doveva morire dopo aver svolto qualche commssione, affascinato dal vero mestiere di Joe, diventerà ben presto suo allievo, e l’amore farà il resto, destabilizzando un quotidiano grigio e maniacalmente pianificato, attraverso il sorriso incantevole e la dolcezza di una deliziosa commessa sorda.

Dopo una travagliata produzione, e a due anni dall’uscita americana, ecco finalmente nelle sale italiane Bangkok Dangerous-Il codice dell’assassino, remake prodotto da Nicolas Cage e affidato ai registi dell’originale made in Thailandia, i talentuosi fratelli Pang, che nel curriculum sfoggiano gioiellini horror come la trilogia The Eye e l’intrigante trasferta americana prodotta da Sam Raimi The Messengers, che in questo caso rivisitano il loro esordio sul grande schermo mischiando un pò le carte, ma non convincendo del tutto, a causa di un film che perde quasi del tutto l’impatto spettacolare e la forza dell’originale.

In questo film c’è qualcosa che proprio non funziona, oltre ad un Cage meno espressivo del solito, qui si notano palesemente alcuni suoi limiti, I fratelli Pang così capaci nella messinscena si trovano in palese difficoltà a dover trovare un equilibrio tra action, thriller e noir, tre generi solo all’apparenza compatibili.

Visivamente il film intriga, insomma lo stile della coppia di cineasti thailandesi non ha bisogno di conferme, ma qui tutto risulta inesorabilmente annacquato, basta pensare al Leon di Jean Reno e Luc Besson per rendersi conto della mancanza di impatto della caratterizzazione di Cage, performance afflitta da momenti di stanca e da uno script che sembra non voler mai decollare,

Stavolta la maschera indossata da Cage, che ha cosi ben funzionato in altri ambiti, si dimostra debole e incapace di bucare lo schermo, di scaldare il cuore nel suo riscoprire compassione, amore e un’umanità perduta, Un peccato perchè in operazioni del genere è il carisma del protagonista a fare la differenza, vedi il già citato Jean Reno o il bravo Chow Yun-Fat di The Killer. Così il film dei fratelli Pang proprio non convince nonostante non manchi di spunti visivamente intriganti e di un finale coraggioso.